
DIMENSIONE
“Solo chi ha provato il tuo dolore può realmente comprendenti in profondità” pensai mentre mi avvicinai al tavolo per scoprire chi era sdraiato sul tavolo in attesa di qualcosa che forse non sarebbe mai arrivato. L’intera stanza, se così si poteva definire, era fin troppo fittizia perché tutta questa esperienza si potesse definire reale ma mi accostai comunque alla struttura sulla quale non so cosa avrei trovato o visto o forse anche solo percepito. Dopo pochi istanti di confusione e poca chiarezza che mi pervasero come se fossero anni luce vissuti con grande intensità, vidi con grande sgomento me stesso sdraiato come se la vita mi avesse abbandonato. La bocca mi si aprì a sottolineare il momento di infinita incomprensione e dolore che mi trafisse come una lancia all’altezza del petto. Sentii una voce che non arrivava da alcuna direzione particolare ma pervadeva l’intera esperienza sussurarmi: “Il tuo viaggio non finisce qui…”
Quindi finì tutto.

VENERDÌ 11 OTTOBRE 2019
Mi svegliai di soprassalto ancora in preda a quanto avevo vissuto o forse solo sognato o chissà cos’altro…Feci tre lunghi respiri cercando di comprendere cosa fosse successo e se fosse stato reale. Afferrai le lenzuola del letto quasi a voler trovare un appiglio che mi fornisse una certa stabilità anche se tutto era fin troppo illusorio.
Mi arrivò un messaggio su whatsapp che mi riportò alla “realtà” e a cose ben più terrene e spesso prive di profondità che mai erano state in grado di nutrirmi fin dove il mio cuore desiderava. Lo lessi distrattamente senza realmente assorbirne il succo anche se qualcosa comunque mi arrivò.
Per la prima volta stavo sudando freddo e la cosa non era di gradimento della mia mente fin troppo impaurita e sempre troppo brava a proteggermi da pericoli mai del tutto reali. Non avevo mai compreso il senso di tutta questa esperienza chiamata “vita” sempre che ve ne fosse uno e ora tutto risuonava dentro di me come un monito a voler andare sempre più a fondo perché vi potesse essere una qualche forma di risposta.
L’inutilità esistenziale della scuola che incombeva spazzò via i miei pensieri in un attimo portandomi ad accelerare i tempi per preparami in fretta e furia come se partecipare a quella finzione avesse davvero un valore superiore.
Come si poteva pensare di insegnare le opere di artisti come Leonardo in un contesto gerarchico, autoritario dove la prima regola non scritta, forse l’unica da rispettare sempre e comunque, consisteva nell’uniformarsi ad un sistema precostituito che spazzava via ogni spirito critico ancora presente in me?
Maggiore era la conformizzazione, più si veniva premiati con buoni voti da esporre in segno di vittoria come se un numero fittiziamente apposto su un foglio da un estraneo potesse anche solo lontanamente competere con la mia vasta e profonda bellezza interiore che mi chiedeva di poter essere espressa con sempre maggiore forza.
Paradossalmente se i vari Michelangelo e Giordano Bruno fossero stati vivi, si sarebbero messi le mani nei capelli nel vedere come il proprio “operato” fosse sminuito in tristi aule dove svogliati alunni aspettavano solo il messaggino di conferma della tipa su whatsapp per la serata.
In ogni caso, nonostante i soliti dubbi fin troppo impellenti, ero pronto e diretto verso la scuola curioso di constatare come tutte queste mie considerazioni venissero confermate ogni giorno in un oceano di nulla esistenziale.
In compenso era oggi in arrivo una nuova ragazza in classe che mi avrebbe permesso di distogliere lo sguardo, per una volta, dalla mia dolorosa interiorità.
O almeno, questo sarebbe potuto accadere se il mio corpo a livello di sensazioni non mi rimandasse sempre a quanto presente in me a livello emotivo ed energetico che richiedeva sempre con coraggio la mia attenzione che troppo spesso, purtroppo mancava.
Non era facile rimanere con questo abisso presente in me anche se percepivo che mi avrebbe condotto alle risposte che cercavo o che il mio cuore ricercava. O comunque, in un qualche modo mi avrebbe condotto finalmente a casa.
“Ciao, sai come si apre questo?” Mi chiese una ragazza con lunghi capelli neri lungo i fianchi che le donavano una spiccata femminilità. Non so perché ma feci un lungo respiro, forse ancora una volta per ritornare sul questa Terra, quindi le risposi:
“Aspetta…” Diedi un colpo al suo armadietto che si aprì di soprassalto spaventando entrambi.
“L’anno scorso era il mio…” Aggiunsi con un sorriso non troppo malizioso, in realtà.
“Grazie…mi chiamo l’Emily.”
“Piacere, Luke…sei appena arrivata? Voglio dire, sei quella nuova?”
Sorrise quasi arrossendo quindi annuì senza aggiungere altro.
“Ti posso accompagnare in classe…dove la magia avviene…e per magia intendo niente ahah!” Le dissi non so come sperando di essere divertente o forse si trattava delle mie solite maschere che indossavo per celare la mia infinita vulnerabilità esistenziale che mi rendeva quasi impossibile vivere su questo pianeta. Ma questa è un’altra storia. Soprattutto era ancora tutto troppo prematuro.
“Certo, grazie…” Mi disse affiancandosi a me nei corridoi fin troppo rumorosi della scuola. Interessante come notare come questa vitalità giovanile venisse stroncata una volta entrati in classe.
“Immagino che non conosci ancora nessuno…” Le dissi distrattamente cercando di non guardarla in maniera troppo strana.
“Già, solo un certo Luke…” Disse sorridendo guardandomi in viso.
“Ne ero già innamorato?” Pensai sorridendo. In fondo era facile per me fantasticare anche solo scambiando due parole con una bellissima ragazza.
Entrammo in classe e mi accordai con il mio compagno di banco perché si spostasse così da far sedere l’Emily di fianco a me. Se dovevo sopravvivere a questa macchina infernale distruggi-anima, almeno che l’Emily mi potesse aiutare. Sempre che lei fosse d’accordo.
Ci sedemmo quindi entrò subito l’insegnante di matematica per una prima ora molto intensa. Non so perché ma intuì subito che l’Emily era brava in questa materia e magari mi avrebbe potuto aiutare anche se nella mia mente le stavo già dando troppi compiti.
La fantasia era sempre molto facile e divertente. La realtà…beh, quella era tutta un’altra storia.
“Ragazzi, abbiamo una nuova alunna qui in classe.”

L’Emily si alzò subito per andare di fianco alla cattedra a presentarsi di fronte ai nostri compagni forse ad un qualche livello come un condannato che aspetta l’esecuzione.
Mi resi conto che questa mattina ero molto drammatico nei miei pensieri ma in fondo era reale ciò che pensavo, o forse lo era perché lo pensavo.
Tutti i miei o nostri compagni la squadrarono per bene quindi tornò a sedersi e iniziò la mattinata di lezioni.
La vidi subito sempre molto attenta e fin troppo diligente rispetto al mio lato più ribelle ma mi astenni da troppi giudizi mentali.
Curioso notare come all’esterno sembrassi sempre molto impassibile e calmo quando al mio interno le più interessanti conversazioni avevano luogo.
Attesi con ansia l’intervallo anche perché finora non avevo avuto modo di scambiare due chiacchiere con l’Emily e la cosa mi dispiaceva. La campanella (di Pavlov) suonò decretando i nostri 10 minuti di aria prima di tornare in cella.
“Ti va di dividerla?” Mi chiese l’Emily indicando la schiacciatina che aveva appena preso in mano guardandomi con degli occhi che denotavano uno sguardo molto profondo e forse malinconico. Attesi a rispondere forse rapito da quella profondità in attesa che qualcos’altro di lei potesse arrivarmi a colpirmi con forza.
Come se avessi bisogno di alimentare ulteriormente la mia vita interiore già così complessa.
“Ehm…certo. Andiamo in cortile e…”
Risposi lasciando la frase a metà. Scendemmo le scale in un silenzio surreale quindi ci sedemmo su una panchina lontano dall’entrata vicino ad un albero dove di solito si limonava senza troppi occhi indiscreti.
Lei non lo sapeva e forse lo avrebbe scoperto presto.
“Sai, è appena morto mio padre…” Mi disse lasciandomi pietrificato. La mia sensibilità mi portava sempre a sentire tanto, forse troppo, quindi fui sincero in quella mia reazione.
“Mi dispiace tantissimo…” Le dissi con una flebile voce.
“Grazie. Questa scuola rappresenta un cambio per me. Prima andavo in un altro liceo, in quello che aveva fatto mio padre ma il dolore era troppo forte e avevo bisogno di cambiare…”
“Capisco…” Aggiunsi senza troppe considerazioni.
“A volte c’à troppo dolore in questa vita…” Disse guardando quasi all’orizzonte in cerca di quelle risposte che mai avevo trovato. O forse stavo solo proiettando su di lei tutto quanto viveva in me.
“Sei stata coraggiosa a dirmi questo…” Le dissi sinceramente.
Mi guardò con gli occhi bagnati del dolore che si portava dentro e mi stupii nel notare come quotidianamente fossimo sempre tutti così bravi a mascherare la nostra vita interiore per partecipare alla solita sceneggiata finta in stile “Truman Show”.
Nel vederla per la prima volta questa mattina, avevo visto semplicemente una bella ragazza ma ora si andava molto più a fondo. Il dolore rendeva sempre tutto molto più autentico squarciando quel velo di Maya dietro il quale vivevamo le nostre vite inconsapevolmente.
La campanella (di Pavlov) ci riportò alle solite cose terrene prive di reale valore e entrambi senza proferire parole, forse rapiti dall’autenticità di quel momento, tornammo in classe. Ancora una volta un magico silenzio la faceva da padrone.
Le ultime due ore della mattina scorsero senza colpi di scena e l’Emily si rivelò ancora una volta fin troppo “brava scolaretta” nel prendere tutti gli appunti senza mai perdere una parola dei prof. Pensai scherzando che potesse avere altri pregi.
Quindi arrivò finalmente l’ultima campanella che sanciva la nostra agognata libertà. Sentivo il desiderio di passare dell’altro tempo con l’Emily e non volevo che “tutto” finisse così, ora, senza approfondire.
“Ti va se…cioè intendo…hai da fare per il pranzo?” Le chiesi in maniera poco convinta.
“Per il pranzo? Si, devo aiutare mia madre a casa.” Mi rispose subito.
Forse percependo la mia delusione, aggiunse:
“Ma se vuoi ci sono oggi pomeriggio…” Disse con un sorriso.
“Certo, lasciami il tuo numero che ci sentiamo più tardi su whatsapp.” Mi diede il numero quindi lo salvai subito e la salutai.
Arrivai giù in cortile, feci un lungo sospiro godendomi la giornata di sole quindi mi avviai verso la mia Vespa con i soliti pensieri fin troppo profondi in testa.
Ero pur sempre io. Ciò che mi aveva detto l’Emily, tanto più in un contesto di mancanza di confidenza reciproca, mi aveva scosso nel profondo e come sempre partii con le mie considerazioni profonde sul perché potessero accadessero queste cose.
Lungi da me avere risposte o anche solo lontanamente certezze. Inoltre c’era sempre il sogno della sera prima che come un fantasma mi braccava in attesa di essere assorbito dalla mia parte più sottile perché ne potessi comprendere la lezione.
Ma era davvero così? C’era davvero qualcosa da imparare oppure si trattava di qualcosa di impermanente da lasciare andare?
Inforcai la Vespa e tornai a casa impaziente di contattare l’Emily per poterci beccare. Arrivato in casa, vidi che mi aveva già contattato e le risposi con un bel sorriso in volto.
Mi chiedeva cosa avessi in mente per il pomeriggio e all’improvviso mi venne in mente che c’era un posto molto carino verso la collina dove si poteva andare per fare due chiacchiere in maniera più profonda rispetto al trambusto della città.
Chissà che per una volta la relazione con un’altra persona potesse raggiungere un livello di appagamento che mi potesse soddisfare realmente al di la della solita superficialità che non mi lasciava mai niente in termini di arricchimento interiore.
Ero disteso sul letto in preda a queste considerazioni profonde con il corpo che mi comunicava le solite tensioni fisiche a livello della zona addominale che, probabilmente, si riferivano ad una qualche mia sfida interiore che ancora dovevo comprendere a fondo.

DIMENSIONE
Chiusi gli occhi e mi ritrovai istantaneamente in quella dimensione nella quale avevo visto me stesso disteso forse non così in vita come avevo pensato. Non sapevo cosa fare e cosa quello potesse rappresentare quindi rimasi fermo, impietrito da questa esperienza surreale che mi stava rendendo tutto ancora più difficile rispetto alle mie solite sfide quotidiane.
La mia vita interiore era sempre stata troppo complessa perchè la mia mente potesse realmente comprendere tutto e a fondo e avevo ormai capito che era il cuore che doveva dirigere la spedizione con la certezza o speranza di tornare finalmente a casa.
Quindi mi svegliai.
REALTÀ
Avevo risposto all’Emily e lei mi aveva confermato con tante belle faccine che accesero il mio entusiasmo per il pomeriggio, nella speranza che si potesse andare oltre la solita realtà che troppo spesso mi limitava.
O forse ero solo io che proiettavo all’esterno.
Inforcai la Vespa e arrivai al posto designato in anticipo, già pregustandomi il panorama, in attesa che le cose potessero diventare più romantiche…o profonde.
Curioso come una parte di me sentisse che tutto questo era forse già avvenuto in precedenza, come se l’Emily ed io condividessimo un cammino comune che in parte o ad un altro livello era già stato compiuto senza che io me ne rendessi conto a livello conscio.
Mi sedetti sentendo che la frequentazione dell’Emily avrebbe potuto rappresentare un qualcosa di più di una semplice conoscenza fugace fra un libro di algebra ed uno di storia.
Feci quindi un lungo respiro sentendo ancora una volta le tensioni a livello fisico che mai mi abbandonavano realmente, segno che in me non era ancora presente quell’unità alla quale il mio cuore mi aveva sempre fatto tendere.
Quindi arrivo l’Emily. Mi chiesi, in effetti, perchè non fossimo venuti qui insieme ma lasciai da parte il dubbio. Arrivò con un bel sorriso in viso, che tradiva il dolore della mattinata quando mi aveva accennato del padre.
Mi resi conto che mi commossi al pensiero anche se forse, consciamente o meno, come sempre lo mascherai per difesa.
“Ciao Luke! Sei qui da molto?”
Esitai un attimo, chiedendomi se il tutto fosse teso verso un pomeriggio di chiacchiere superficiali, delle quali paradossalmente una parte di me aveva bisogno per alleggerirmi il peso esistenziale che sempre mi portavo addosso, oppure se ci fossimo indirizzati verso un qualcosa di più sottile che mi avrebbe nutrito in profondità come mai capitava, sopratutto con le ragazze.
“Ciao! Hai trovato subito la strada?” Le chiesi banalmente, senza che la mia profondità si disvelassi subito.
“Si, anche se non ci ero mai stata. Vedo che sei un romanticone…” Aggiunse sorridendo.
“Per il posto intendi? Si, è vero ahah!”
Quindi ci sedemmo ed entrambi facemmo qualche respiro profondo forse aspettando che fosse l’altro a fare il primo passo.
Una prima mossa che tardava ad arrivare e che lasciai in sospeso per rendere il tutto più autentico.
“Sai, a volte mi chiedo se sia possibile andare più a fondo nelle relazioni con le altre persone, magari per penetrare quella corazza così pesante che ogni giorno ci portiamo in giro sentendoci poi disconnessi gli uni dagli altri…”
L’Emily rispose prontamente:
“Wow, molto profondo per un primo appuntamento. Mi piace.”
“Appuntamento?” Dissi ad alta voce anche se avrei solo voluto pensarlo.
“Ahah! Scherzavo…forse no!” Disse maliziosamente.
“Stamattina non so perché ti ho detto di mio padre…non ne avevo ancora parlato con nessuno…”
“Mi fa piacere che tu ti sia fidata…” Le dissi con coraggio.
“C’è qualcosa in te che va oltre, come se ci fossimo già conosciuti o come se ad un qualche livello fossimo legati da un destino profondo e comune. O forse sto vaneggiando ahah!”
Feci un lungo respiro quindi le risposi in maniera criptica:
“Pensavo prima la stessa cosa. Vedremo.”
“Si, vedremo.” Disse sorridendo, guardandomi per un attimo quindi fissando l’orizzonte.
Il vento scompigliava dolcemente i suoi capelli mentre notai con stupore che la mia amata mente era più calma del solito.
Quindi feci un bel respiro e notai che l’Emily appoggiò il viso sulla mia spalla destra.
Il momento era perfetto e non aggiunsi nulla.