Erano le 13:53 di un venerdì come tanti, uno di quei giorni dove le domande risuonavano nella mia mente con sempre maggiore forza con una parte di me, forse fin troppo mentale, che cercava risposte esistenzialmente importanti che potessero permettermi di andare oltre tutto quanto mi mantenesse fermo nel solito posto, prigioniero di una routine che non mi apparteneva.
Sapevo fin troppo bene che la mente non avesse le risposte o quantomeno non quelle giuste, sempre esistessero, ma permaneva in me questa forza o illusione che una volta raggiunto quel qualcosa che sentivo di stare cercando, tutto si sarebbe quietato finalmente.
Un pò come arrivare in cima alla montagna e finalmente avere una chiara visione delle cose oppure girare la rotella della radio (di quelle vecchie) fino a sentire chiaramente la canzone che prima era invece disturbata da un segnale non pulito.
Il punto era che non sapevo se tutto questo fosse reale e quindi valesse la pena indagare oppure se fosse tutto un labirinto creato dalla mia mente che io fin troppe volte consapevolmente alimentavo nella vana speranza di arrivare ad una conclusione che soddisfacesse una parte di me.
Ero deciso a non ingabbiarmi da solo anche se allo stesso tempo qualcosa dentro di me mi spingeva con sempre maggiore foga verso un futuro che forse era solo un’illusione che non si sarebbe mai realizzata.
Mentre questi pensieri affollavano come sempre la mia mente, scrollavo su Instagram come meccanismo fin troppo inconscio e automatico per rimanere perso in dubbi che mi inghiottivano senza via di scampo.
Ero in realtà sicuro della mie capacità di affrontare qualsiasi difficoltà e superarla quindi non mi preoccupavo troppo anche se non pensavo di poter continuare ancora per molto a vivere ogni giorno con questa sensazione di dubbio in stile Matrix.
Sin dalla nascita si era sempre trovata in me questa energia che mi portava a fare tante domande, anche se mai troppe dal mio punto di vista e tutto questo crescendo si era forse placato a causa delle ferite vissute o semplicemente a causa delle persone intorno a me che mai avevano saputo darmi risposte che arrivassero dritte al mio cuore.
Ora che che ero grande, stavo recuperando questa parte fondamentale di me anche se sapevo che la modalità mentale non era quella giusta. Solo il cuore poteva avere le risposte anche se lo contattavo forse non così spesso.
Questa era un’altra cosa sulla quale mi stavo dando da fare: allenare questa mia capacità di sentire con il cuore invece che di farmi sempre guidare dalla mente che non conosceva mai realmente la direzione “giusta”, sempre che ne esistesse una univoca.
Ero quindi in mezzo a queste due forze spesso contrastanti dentro di me che mi tiravano in direzioni quasi opposte anche se la mente poteva calmarsi nel momento in cui mi rifugiavo con sempre maggiore sicurezza nel cuore.
Le ragazze, sempre inconsciamente, risvegliavano in me la parte più sottile che si ritrovava ad alimentare tutto questo in me anche se ero consapevole che tendevo parecchie volte a idealizzare più del dovuto ciò che percepivo.
Lo sapevo ma continuavo perché la mia vita interiore era sempre più interessante, viva e ricca rispetto alla realtà sempre fin troppoimbalsamata dove si interpretava lo stesso ruolo in questo Truman Show dal quale non vi era forse scampo.
O quantomeno non lo vedevo ancora. Stavo già da tempo facendo il mio percorso interiore come sempre alimentato dal dolore e che era iniziato dopo situazioni spiacevoli e per quanto stessi meglio, permanevano in me troppe domande che forse mai avrebbero avuto risposta.
Sentivo sempre in me tanta energia che rimaneva intrappolata sopratutto nella zona addominale e questo non faceva altro che alimentare la mia irrequietudine nonché farmi sentire un alieno in un mondo dove non mi ero mai sentito del tutto a casa, per usare un eufemismo.
Nonostante tutto questo, che per certi versi mi portavo dentro dalla nascita, riuscivo quasi sempre a mantenere un certo equilibrio anche se sentivo sempre di fingere ad un livello molto profondo poiché percepivo questo velo di Maya in stile Schopenauer che si frapponeva fra la maestosa bellezza del mio cuore e la “realtà” che vivevo che era sempre fin troppo finta, nel senso più profondo del termine.
Il punto era che non sapevo come uscirne sempre che l’eventuale obiettivo fosse questo: da una parte se fingevo con le altre persone nella quotidianitàsentivo che stavo recitando una parte e questo era deleterio per il mio percorso interiore ma allo stesso tempo non sapevo come poter fare per andare oltre questa sceneggiata.
Addirittura nel corso del tempo ero diventato così bravo a interpretare questa parte, sempre per motivi di sopravvivenza, che faticavo a tornare ad essere me stesso.
Era il mio corpo con la sua infinita saggezza che mi comunicava sempre, in ogni momento presente, cose vitali per una migliore conoscenza di me anche se comprendere a fondo la lingua che parlava non era sempre così facile.
Era un allenamento che stavo facendo proprio per ritrovare una migliore connessione con me stesso dopo anni di disconnessione dovuti al processo della socializzazione che mi aveva portato, come tutti, a dover indossare delle maschere perché lo “spettacolo” potesse andare avanti.
Ora il sipario doveva calare su questa recita parecchie volte fin troppo finta e limitata nel nutrire una parte profonda di me che invece era affamata di qualcosa di più grande che potesse aiutarmi ad innalzarmi al di sopra di ogni difficoltà che, forse, era posta sul mio percorso da forze più alte proprio per aiutarmi nel ritorno a casa.
Mi chiedevo con insistenza, fra le altre cose, se per ritornare a casa fosse sufficiente riacquistare una migliore connessione con il mio cuore, nel senso più spirituale del termine, oppure se avessi continuato a vivere tutta la vita con questi dubbi e solo l’altro tipo di ritorno a casa mi avrebbe aiutato a percepire una sensazione diversa.
Un pò come essere ad una festa nella quale non ti senti pienamente a tuo agio: è sufficiente lasciarsi andare, bere un pò e godersi il tutto oppure devo andarmene per tornare a casa in un contesto più confacente per la mia sottile profondità?
Inutile ribadire che questa domanda si univa alle altre senza che vi fosse una risposta precisa.
Magari non esisteva oppure non riuscivo a trovarla. In ogni caso più andavo nel sentire autentico del mio cuore, più la mente si rilassava, segno forse che eventuali domande e risposte non mi avrebbero portato lontano poiché si trattava semplicemente della mia mente che da una parte mi voleva proteggere e dall’altra si agitava quando dentro di me energie sconosciute, emotive e non solo, cominciavano a risalire dal primo chakra.
Tutto questo la portava a volermi aiutare con domande che però risultavano sempre troppo sterili rispetto alla ricchezza del mio lato più spirituale che sapeva sempre donarmi quella tranquillità che la mente non era in grado di fornirmi.
Nonostante ciò, la mente dirigeva la mia vita poiché non sapevo ancora come poter mettere in pratica tutto questo: si trattava, dopotutto, di concetti fin troppo evoluti e non avevo ancora la consapevolezza di come poter tradurre queste energie e questa mia percezione in qualcosa di concreto su base quotidiana.
Quindi la mente ripartiva con i soliti dubbi che io fin troppo spesso alimentavo senza muovermi di un millimetro rispetto al giorno precedente.
Era un pattern da lasciare andare anche se come sempre la teoria era fin troppo facile rispetto alla pratica. In me, nonostante le difficoltà, permaneva sempre una grande fiducia per il futuro che mi portava a non mollare mai anche se era necessario cambiare la mia modalità operativa e di percezione della realtà perché fosse il cuore, come detto, a guidare con sempre maggiore coraggio la mia vita.
A livello fisico sentivo tutto questo e sapevo quindi che era reale per me.
La mente poteva anche perdersi in infiniti discorsi mentre il cuore sapeva sempre anche se la comunicazione era per certi versi disturbata e dovevo trovare un miglior modo di sintonizzarmi.
Ce l’avrei fatta? Ne ero sicuro ed era solo questione di imparare sempre meglio a lasciare andare arrendendomi a quello che sentivo in ogni momento, ossia il contrario di quello che la mente mi portava a fare regolarmente.